Scarpette e flâneur

29 ottobre 2013 at 17:44

scarpette

L’altro giorno ho ritrovato nella borsa una scarpetta.
È una piccola calamita a forma di scarponcino che qualcuno mi ha donato tempo fa.
Chi me l’ha regalata non poteva certo immaginare quali sensazioni di movimento avrei collegato al suo dono riscoprendolo per caso tra le mie cose.
Quell’oggetto banale nella sua semplicità ha riacceso in me, per intricate e complesse associazioni, l’impulso a una linea di cammino che va oltre il fisico passeggiare.
Guardandolo, all’improvviso, mi sono sentita ancora una volta profondamente un po’ flâneur…

Chissà, forse si sentivano così certi artisti europei che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo, percorrevano a caso le strade delle città nell’intento di coglierne l’anima e i suoi battiti reconditi.
Di sicuro loro sapevano meglio di me chi era un flâneur perché ne vivevano, talvolta con tormento, la condizione in ogni sfumatura umana, ma anche artistica (basti pensare al poeta Baudelaire).
Io, al contrario, non sono che un’incallita camminatrice troppo spesso affascinata dall’immagine dello scrittore che, passeggiando per ogni dove, sperimenta le tante dimensioni della realtà fisica e .… spirituale. Sì, perché il flâneur non è solo e semplicemente il dandy che in solitudine e meditazione passeggia senza meta, ma anche e soprattutto un girovago dell’anima e in questo senso non è certo figura confinabile all’Europa letteraria di un preciso quadro cronologico-culturale.
Si può essere flaneur in ogni epoca storica così come in qualunque momento e-o estrinsecazione della propria vita. E ricordo la scarpetta nella borsa.

Lo dice con chiarezza anche il grande scrittore svizzero Robert Walser, quando nel 1919 scrive un breve racconto: “La passeggiata”.
La trama dell’opera ci porta in una cittadina svizzera con i suoi dintorni agresti dove Walser ci guida a perlustrare, attraverso e oltre i luoghi fisici, i labirinti della mente, quelli che aprono il cuore agli incontri più fortuiti e inaspettati, dunque proprio per questo illuminanti. Al lettore attento non sfuggirà certo che nel racconto non è Walser che ci conduce in realtà, ma le sue parole.
Nel flusso narrativo le sue parole si muovono come scarpette e creano, passo dopo passo, particolare dopo particolare, una rete di scrittura “nomade”, oserei dire senza senso e volutamente dissociata nell’intento di cogliere gli aspetti più incongrui del circostante. Lo stesso scrittore si lascia portare dalle sue parole in un percorso mai precostituito come solo può esserlo quello della tedesca Wanderung (a volerlo tradurre, potremmo renderlo con l’italiano passeggiata- vagabondaggio) dove si incontrano (e ognuno può vederci i propri) tipi e figure disparati colti in una prospettiva di estraniamento rispetto ad ogni rapporto funzionale col mondo.
Ne “La passeggiata”, dunque, l’incallito camminatore che Walser ci fa conoscere e sperimentare si allontana a grandi passi dal trekker fisicamente impegnato così come dal letterato flâneur in cerca di emozioni in mezzo al groviglio imprevedibile dei quartieri urbani.

È l’uomo che lo scrittore ci presenta, l’uomo nel suo quid esistenziale che sfugge alle griglie storico-sociali e finanche a quelle culturali, l’uomo libero, l’escursionista del pensiero che ognuno di noi nel profondo desidera e teme di essere.
Walser ci invita a cercare passeggiando ciò che molti per paura o pigrizia troppe volte credono impossibile essere …

“Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m’imbatta in giganti, abbia l’onore d’incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto”.

Non so voi, ma a me queste parole aprono nuove piste di cammino e pensiero.
Da parte mia continuerò a portare la scarpetta nella borsa nella speranza che, ritrovandola ogni volta, mi doni un modo diverso di andare per il mondo.

Giulia Martorelli

Giulia Martorelli: laureata in Lingue e letterature straniere all’Università di Bologna, è una cultrice della lingua tedesca. Insegnante, ha inseguito un sogno che l’ha portata – scarpette da trekking ai piedi – fino al mare.
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