Frammenti semi-seri di un diario di cammino

4 ottobre 2013 at 18:54

crochi monte baldo

Monte Baldo, 4 e 5 maggio 2013

“Canto l’uomo e gli scarponi!”
Stephen Graham, The gentle art of tramping

“Mi ricorderò di prendere l’acqua se non voglio essere ammonita da dura pedagogia di montagna, quando farò ritardo” () ho pensato l’altra mattina quando, in realtà, ero pronta da due ore (la montagna opera rivoluzioni, non cambiamenti … )
In realtà, mi aveva battuto sul tempo – non che io sia competitiva! – Giuseppe: aveva fatto colazione all’alba e si stupiva, saltellando come i calciatori prima di una partita (devo aver letto sulla Treccani che sì, fanno proprio così), che l’orario stabilito per la partenza non fossero le 7 o giù di lì. Dico io: si fa il C.A.R. qui?
Che cos’altro ricorderò? Parole in libertà: bussola, azimut, ghiera, bivacco, malga, alpeggio, ortiche, zaino, bastoncini, carta, curve di livello, altimetro, pressione (questi ultimi due dovrebbero avere una qualche forma di correlazione che ha a che fare con un azzeramento serale e un disvelamento mattutino che ti informa se potrai alzarti o rimanere a letto … breve summa di una lezione di meteorologia situata tenuta da Giacomo, ma ero più impegnata a immaginare quel fiume carsico che, nel giro delle Malghe, scorreva sotto, sotto, sotto).
I crochi che avvistano il Baldo di Stefano: gialloblu, gialloblu, gialloblu cari a Eugenio Montale (e al mio profilo FB prima che mi fosse detto “Sei sempre la solitaaaaa!!!”): rimossa!

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato 
l’animo nostro informe,

e a lettere di fuoco
 lo dichiari e risplenda come un croco
 perduto in mezzo a un polveroso prato …

Eugenio Montale, Ossi di seppia

E poi? Le stelle entusiaste raccontate da Umberto grandi come all’equatore, fuochi di artificio incerti che, per quella sera, rinunciavano ad esplodere. A piedi verso la chiesa di Madonna della Neve, davanti al cancello a guardar le stelle: Orione, il Grande Carro, il Piccolo Carro. Ritorno con le poche energie rimaste, le più belle: qualcuno fischietta Contessa. Umberto la intona a gran voce: cominciavo a sentirmi la più stanca tra i rivoluzionari, l’ultimo viso a destra del Quarto Stato, una che per la branda avrebbe venduto anche la bussola!!! Capirai che perdita … E voi, come siete stati? La mia stanchezza mi è piaciuta: edificante, costruttiva, importante, dignitosa, da ri-conoscere.
L’(auto)ironia brillante di Raffaele, in cerca di un suo – poi meritoriamente ottenuto – primo piano.
Dunque, dunque … Carlo e Nicola! Un viaggio di andata pieno di sole; un ritorno grigio in cui, a momenti, ho avuto l’impressione che Nicola fosse l’unico sveglio (almeno così spero, visto che siamo tornati a casa, anche se ho impiegato un’ora a trovare le chiavi).
Il Corno Gallina: passeggiata morbida per prati aperti punteggiati qua e là da ciliegi. Piccola malga dove vive, in posa immobile, un uomo che sembra scolpito sulla seggiola guardando il vuoto della valle. Dall’altro lato della casa, Alberto avvista un capriolo (non sarà perdonato dall’obiettivo della grande Nikon di Stefano!): gli piace questa scena che rimane fissa anche al nostro ritorno; e la scena gli piace nonostante il suo copricapo un po’ … sultano!

Il look, il look, il look: in certi momenti, ho pensato che la forza e il fiato venissero dal look. Effettivamente, mi sembrava di essere la più improvvisata: pensi di poter affrontare un grosso dislivello senza aver fatto un giro da Salewa o da Villa? Che poi, io sarei andata da Patagonia – ho una certa predilezione – se qualcuno avesse sottoscritto che è sotto il softshell il vero segreto (mancando alla lezione sull’abbigliamento, quando ho sentito nominare il tessuto da Nicola per la prima volta mi ha fatto una tale impressione! Mi è sembrata un’espressione così tecnica e competente che ho pensato: “Lui qui deve avere un medagliere …”). E le scarpe? Ore 18:30, di ritorno da Corno Gallina (siete riusciti o no a vedere il profilo dell’avicolo?), sopra la Valle dei Mulini, tutti fuori per il briefing (certamente Paolo è molto professionale): puntiforme escursionismo in pillole. Giacomo fa una rivelazione: le scarpe migliori sono quelle con la suola del signor Vibram. Identikit? Tassello giallo con scritta VIBRAM sotto la suola. Quanti di voi hanno fatto la prova? Io sì, ma senza convinzione e invece … Vibram aveva pensato anche alle mie! Competente chi me le ha regalate … In realtà, di look prendevo ripetizioni anche da Francesco a partire dalle prime lezioni: “Hai comprato la maglietta ….?” quella che ha originato due correnti di pensiero: i lavatori e i puristi. I primi – caposcuola Marina, che dalla prima uscita avrebbe messo in lavatrice anche un gatto che avesse toccato un calzino – laverebbero tutto: figurarsi questa maglietta che ti fa viaggiare a gran velocità … e i puristi che non la lavano affatto: forse è il mancato acquisto di questa poderosa – cui Francesco mi ha più volte incoraggiato, a dire il vero – che in molti momenti mi sono ritrovata ad essere un’ansante chiudi-fila!
Il gruppo del Baldo: destino di un bellissimo giro montagnanevescilago nel 1997, pensavo a quel versante lì. Invece: eravamo dall’altra parte, ma è stata forte l’emozione di intercettarne una piccola propaggine, incuneata con forza nella nebbia, con gli scarponi sulla neve all’arrivo a Passo Cerbiolo: carta o altimetro che sia, sono m. 1370 di meritato posto per una foto di gruppo riunito dopo la diaspora didattica.
Ma è da quello scatto che il tempo è accelerato, fuggendo verso l’acquazzone: il gruppo inizia la ricerca dell’abete bianco. Il suo nome giganteggia sulla carta: non è quello caro a Freud, pur vicino … Chissà poi perché Freud avesse un tal legame con quell’albero … effettivamente a guardare questo, trovato dopo una divertente ricerca cooperativa attraverso una faggeta, il motivo è chiaro: al centro di un promontorio di abeti abbattuti, caduti, con i rami spezzati avvolti in un’aria grigia dall’atmosfera quasi spettrale … siamo in un arboreto selvatico dismesso! Chiunque è autorizzato a pensieri magmatici … Carlo insegna che il nome è dovuto al colore della superficie inferiore degli aghi: finita in un colpo la visione scolastica dei boschi verdeggianti! Qui ci vuole un brandello di poesia (e di ricordi):

La quercia è tutta nera. Una saetta
La fece secca, la lasciò stecchita
E da quel giorno non s’è più mossa.

Trilussa

Tina ha provato a desiderare un po’ di sole sotto quella cappa, magari spostandoci; la mia solidarietà è stata pronta alla pacata proposta, ma s’è deciso di mangiare in quel bosco misterioso sul quale si è poi scatenato un acquazzone che ci ha fatto rotolare disordinatamente a valle verso il bivacco Trattesoli: tutti dentro!!! Punti verdi, rossi, gialli, cappelli, mantelle, pantaloni impermeabili, copri-zaini e un curioso cappello, certamente da montagna, ma che associo al grande James Dean ne Il gigante: Mario, potrò essere rimproverata per tutto, ma non certo per i paragoni ingenerosi!!! Plin, plin, plin ,,,,,,,,,,,,, la pioggia scatena una processione laica di colori in fuga che ha reso divertente la rapidissima discesa (vi siete mai sentiti un cerbiatto?), che cercano di mettere in pratica come possono le lezioni sull’aderenza al terreno, la postura delle gambe e delle spalle per arrivare al bivacco: all’interno, tracce di presenze cui è cara la montagna, ma anche la coca-cola e la fanta finché le bottiglie sono piene … Belli i colori della montagna!!! (Anche quelli artificiali: come poter dimenticare l’aspetto più infantile – e romantico – del film È successo all’isola di Pam recentemente visto al Lumière in cui una coppia di giovani esploratori affronta la scogliera più alta del mondo in Groenlandia: la parete di Qaqarsuassi. Per dormire in quel guscio morbido, sia esso azzurro o giallo, rischierei anche quella fatica, credo … magari verso le 10,30? )

La cena! Il rifugio Monte Baldo è, in realtà, un piccolo albergo; durante la cena si avvicendano portate creative. Io mi fermo più o meno al risotto all’ortica, me l’ha detto la celiachia, mentre sotto i miei occhi sfreccia di tutto: crepes, polenta, cacciagione, persino le tagliatelle al capriolo! Seduta davanti a me c’è Tamara: non so perché, dalla prima volta che l’ho vista ho pensato fosse una scrittrice, ma è certamente anche una brava cuoca perché tampinata da suo figlio che vuole estorcerle in quota la ricetta dei panzerotti (mi piace già anche solo il nome …).

Anche Roberta, l’ha ammesso lei stessa da Decathlon (posso pubblicamente dichiarare di esserci incontrate lì senza rischiare di dover bruciare la tessera a seguito dell’espulsione?), ha detto di essere una brava cuoca: il suo sorriso aperto e generoso non vuole nasconderlo …

Cibo? La ricerca sull’alimentazione ha fatto progressi da gigante: uno dei libri che ho sempre letto più volentieri ai miei scolari è Lessico familiare di Natalia Ginzburg. I suoi ricordi del rigore di papà Levi, le loro gite in montagna, la preparazione delle vettovaglie … Paoloooooo!!! Senti qua:

Nelle gite in montagna era consentito portare solo una determinata sorta di cibi, e cioè: fontina, marmellata, pere, uova sode ed era consentito bere solo del tè, che preparava lui stesso, sul fornello a spirito. Chinava sul fornello la sua lunga testa accigliata, dai rossi capelli a spazzola; e riparava la fiamma dal vento con le falde della sua giacca, una giacca di lana color ruggine, spelata e sbruciacchiata alle tasche, sempre la stessa nelle villeggiature in montagna.

 Natalia Ginzburg, Lessico familiare

 

Tragica fine, a colpi di letteratura, dell’estetica delle barrette …

Ma, mentre si cammina, si può parlare? Questo è un dilemma che non ho ancora risolto. La mia tecnica è: in salita, si tace (chi riuscirebbe ad affrontarla?); in discesa, si corre; in piano, si parla. La chiacchierata più lunga? Non so …. Forse molte e sparse. Secondo William Hazlitt, però, s’è parlato troppo:

“Nessuno più di me ama gli scambi d’opinione, i paragoni, le antitesi, i ragionamenti, le analisi, ma certe volte sto meglio senza”

William Hazlitt, On going on a journey

E una di quelle volte sarebbe proprio quando si cammina! Non sono completamente d’accordo: maledetto sia il fascino di chi sale e parla senza un minimo di affanno, di chi conserva quello stile elegante e composto come fosse seduto al tavolo di un bar per un tè. Quando sulla curva di una salita che iniziava a farsi un po’ ripida, ho cominciato a richiamare a me i miei superpoteri come Mazinga-Z, ho sentito una voce gentile dire: “Ecco l’invaso che è sulla carta!”. Giovanni, piuttosto taciturno, spende parole per informare, controllare, aiutare. Non avevo molte forze per guardare l’invaso! Se non mangiavo, i miei superpoteri arrugginivano … mandorle, mandorle, mandorle …

Arrivare in cima e sapere che c’è una voce, quella di Sandro, che ti chiederà: “Come va?”, ti fa capire che hai un’aria malconcia ma che, certo, sulla vetta c’è posto anche per te!

Parole, persone, luoghi, ironia, profumi, fatica, risate, stelle, colori, tre metri quadrati di neve da cui guardare il Lago di Garda, tanta fantasia: messo tutto nello zaino?

Quando ero piccola e mio papà mi portava al circo – poche volte in realtà, perché quegli animali sull’orlo della quiescenza, costretti da un riflesso pavloviano a ripetere le stesse mosse, a rispondere agli stessi stimoli mi ha sempre messo un po’ di tristezza – aspettavo sempre con malinconia preventiva il ritorno sul palco del Bianco e dell’Augusto: quando il primo iniziava a dire che – siccome tutte le cose belle hanno una fine, stessa sorte sarebbe toccata a quella serata – sentivo scendere una malinconia che solo la brillante allegria di mio papà sapeva neutralizzare con efficacia. Giacché non mi piace dire l’ovvio, non credo ci sia bisogno di aggiungere altro per intuire il parallelo, grandi … grandi Walden.

Camilla Paolucci

Foto: Scorcio del Monte Baldo – Sergio Innocente

La Via del Lupo di Marco Albino Ferrari

15 settembre 2013 at 22:21

la via del lupo

Il Passero Escursionista ha letto…

“A notte fonda, tra le vie deserte, 1/2 raggiungeva il macello, poco fuori dall’abitato, e raccoglieva i resti di macelleria che venivano abitualmente gettati nelle acque del fiume. Boitani e gli altri, con le radioriceventi in funzione, individuavano il cespuglio dove era di vedetta 1/2 e lo tenevano sotto osservazione, anche loro nascosti per celarsi sia al lupo sia agli abitanti di Villetta Barrea”.

C’è una vena gialla ne “La via del lupo”, Laterza, di Marco Albino Ferrari. A cavallo tra generi letterari diversi, il libro racconta le avventure del professor Boitani e del suo gruppo di ricerca che, negli anni settanta, tentava la riconciliazione dell’antagonismo ancestrale tra “Uomini e lupi”, film etnografico di Ernesto De Martino in cui la logica darwinista della lotta per la sopravvivenza, in tempi di risorse scarse, era un gioco a somma zero.

La ricerca degli etologi rimuove secoli di misconoscenze imprecise e parziali che avevano ridotto il lupo ad archetipo del Negativo: provate a chiedere a un bambino l’impressione che ha avuto leggendo “Cappuccetto Rosso!”

Attraverso il racconto on the road dagli Appennini alle Alpi, il detective Ferrari insegue le tracce del misterioso animale per proporci, fatti alla mano, una nuova visione, eco sistemica ed informata, sui rapporti tra l’Uomo e la Natura, in cui il lupo torna a regnare sulla sommità della catena alimentare in maniera scientifica nel corso dei cambiamenti antropologici e sociologici dell’Italia di quegli anni, svelando al lettore gli aspetti più affascinanti della vita in colonia del lupo nell’habitat più magico: la Montagna.